La seconda volta di Roberto Berrugi

di Alessandro Schiavetti

 

 

Le nostre menti sono finite, e
nonostante queste condizioni di          
finitezza siamo circondati da                    
possibilità che sono infinite, e lo                              
scopo della vita è cogliere il più                                        
possibile da questa infinità.          
                                        


Alfred North Whitehead

 

 

 

Nell’immaginario collettivo un oggetto rimane fine a se stesso solitamente fino a quando questo non termina il proprio valore oggettivo e funzionale, di fatto terminando un percorso di utilizzo temporalmente definito e mono-funzionale. Ogni oggetto materiale però, ha in sè un’infinita varietà di ri-utilizzo, se si considera che questo, sottoposto all’influenza di un nuovo indirizzo, assume sia una nuova valenza che un nuovo significato, specialmente in campo artistico.

E’ proprio l’arte col suo sempre costante sviluppo contenutistico, che ci insegna che il polifunzionale invece è un valore di fatto assegnato a qualsiasi materia e materiale definito; oggetti in disuso e apparentemente finiti, che hanno terminato il loro corso d’uso, sono comparsi sin dai primi del Novecento in svariate realizzazioni e produzioni artistiche. Opere che spesso sono rimaste in piedi come importanti baluardi di nuove correnti artistiche o che hanno caratterizzato il percorso evolutivo di numerosi artisti, famosi e non. L’oggetto desueto, peraltro e in termini di pensiero e corrente, diviene protagonista e messaggero di uno dei messaggi contemporanei più importanti come quello del contenimento dello spreco. E’ il cogliere l’infinità stessa delle possibilità che ci circondano e che che spiazzano il concetto di limite, proprio come sottolinea il filosofo britannico Whitehead, che trasposto in termini di riuso artistico, dona all’oggetto quell’illimitata maglia di nuovi indirizzi che hanno appunto caratterizzato l’arte degli ultimi cento anni.

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Non nego che seguo da moltissimi anni ormai tutto quel mondo di ‘artisti riciclatori’ che sempre più mi affascina e mi colpisce nel profondo, proprio per quel duplice assetto che vede shakerato alla perfezione un cocktail fatto di attenzione per l’ambiente e quella trasformazione dell’oggetto in quanto tale, trasponendo il tutto in suggestive quanto stupefacenti opere d’arte.

Nel caso specifico, per la sua prima mostra personale, ‘In fieri’, definii l’artista Roberto Berrugi un ‘Efesto’ dei nostri tempi; cioè quella rivisitazione metaforico-contemporanea che porta a individuare le mani dell’artista come le mani del dio greco della metallurgia e del fuoco, atto a scaldare e piegare il metallo nel suo antro oscuro, mentre realizzava le armi magiche e invincibili degli dei. Nella mitologia greca infatti Efesto dona a Teti la corazza e le armi che lui stesso ha preparato per l’invincibile Achille, il carro di Helios, i gioielli di Teti, l’armatura di Memnone, il bastone di Agamennone, l’impressionante scudo di Zeus e molte altre creazioni, tra le quali gli automi robot che divennero da subito suoi aiutanti fedeli. Tutto ciò che veniva realizzato all’interno dell’antro di Efesto godeva di impareggiabile perfezionismo e qualità, in risultati unici.

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Roberto Berrugi, artista cecinese ed ex-carrozziere con una bellissima storia di imprenditoria alle spalle fatta di successi e rivalse, ha sempre avuto dentro di sè qualcosa che doveva per forza sfociare a livello creativo da quelle mani sapienti e forti, approdando per questo motivo all’arte contemporanea da pochi anni - e in pochi anni -, con enorme capacità realizzativa. Un ‘giovane’ Efesto contemporaneo, che forgia proprio in uno spazio situato nella carrozzeria di famiglia, opere di ogni tipo e dimensione. L’aspetto più stupefacente del suo lavoro è che lavora giustappunto con quei materiali che per una vita intera ha avuto sotto mano e ha osservato come fossero destinati esclusivamente al loro utilizzo unitario, lasciando che però dentro di sè sgorgasse lentamente la forza della creatività che attualmente lo contraddistingue nella realizzazione unica delle sue opere.

Iterum, titolo della mostra personale dell’artista a Pisa presso la sala espositiva comunale ‘Sopra le Logge’ in programma da metà ottobre a metà novembre, è la sua ‘seconda volta’ in termini di vita, ma allo stesso tempo la seconda volta e la seconda opportunità di un oggetto destinato al macero che ha terminato la sua funzionalità oggettiva. Berrugi plasma il metallo e lo lavora, mostrandolo a risultato finito come se fosse una materia morbida e plastica; la stupefacente capacità di trasformare il pesante in leggero, l’ingombrante in delicato e minuzioso, il ruvido in liscio e l’invisibile in tangibile lo rende unico nel suo genere, soprattutto nella lavorazione dei radiatori. Su questi Berrugi si supera, proprio per la fragilità dei materiali stessi, quasi impossibili da piegare senza lacerarsi o frammentarsi, trasformati invece sui generis in sinuose ed erotiche onde e vele, che compongono a loro volta i corpi per strumenti musicali, opere celebrative o astratti di ogni tipo e misura. Iterum è una fase di trasformazione, un bivio, una biforcazione volontaria che viene donata probabilmente una sola volta da un fato a sua volta mitologico, e che l’artista in questo caso sfrutta con magistrale capacità manuale e creativa.

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Abbiamo assistito sin dagli esordi del riciclo artistico a inizio Novecento a una tempestosa fase di ricerca e di rivisitazione di qualsiasi materiale desueto in circolazione, amplificando e anticipando di fatto quel concetto tanto contemporaneo del contenimento dello spreco e del riuso dei materiali ‘morti’ in chiave artistica, e di fatto aprendo a ragnatela una fitta rete di sub-culture intrise di assemblamenti ‘meltin-pot’ poi sfociati su tela o su altri supporti rigidi. La metal-art ad esempio, tutt’oggi sprigiona una forza estetica senza precedenti, proprio perchè racconta di un’impossibile alleggerimento molecolare della materia in forma estetica, ragguardevole nei casi in cui si propende a forme lineari, o serpeggianti e curvilinee, e allo stesso tempo suggellate dall’occultamento volontario dell’origine stessa dei pezzi con i quali si lavorano le opere; i particolari di fusione e di assemblamento si scoprono infatti volta volta, girando attorno all’opera, notando in misteriose saldature e intarsi a prima vista invisibili proprio il concetto di ‘seconda volta’, gridata al cielo come opportunità possibile e come concetto collettivo, traghettato quest’ultimo e in questo caso specifico dal metallo e dalla sua struttura. E’ così che ci si rende conto che le opere di Berrugi ad esempio, sono creazioni che sono maturate dall’albero prolifico della sua professione, che dai rami della sua enorme passione ha fruttato sani e succosi pomi di stupefacente bellezza.

È uno spazio senza tempo determinato quello di Berrugi, che dialoga col metallo creando opere avveniristiche come gli astratti, le vele e tutto ciò che deriva dalla piegatura dei radiatori; non si evince da questi che serenità e distensione compositiva, in plastiche pose soffici e sospinte dai venti nei loro colori freddi e metallici dell’argento vivo. Si odono nelle sue composizioni strumentali invece note rock e psichedeliche se si osservano gli strumenti musicali che l’artista realizza, come nelle chitarre 16 valvole e 24 valvole o nel sassofono Oliver, prototipi di strumenti in bilico tra l’iperrealismo e un ilare concerto futurista, con colorati e scoppiettanti sfiati post-pop che rombano come motori in partenza allo start di un Gran Premio. Pistoni, cuscinetti, lamiere e altre componentistiche auto e moto vengono raccolte e poi assemblate e modellate secondo dei criteri insiti nella sua matrice mentale, macchina creativa che mano a mano visualizza l’oggetto in maniera e significati diversi, sfociando di fatto in composizioni mai banali e decuplicate per efficacia estetica.

L’artista svaria su tematiche di diverso livello e composizione, a seconda del pezzo che gli si propone davanti durante la ricerca a tratti quasi archeologica che applica durante la fase di progettazione, realizzando animali di piccola e media taglia dai colorati piumaggi come il birichino ed elegante fenicottero, pesci, briose chiocciole e opere celebrative di livello come quelle dedicate alla tragedia del ponte Morandi – ‘Mai più’ - o come Manhattan, composizione dell’intero World Trade Center fermato nel minuto precedente all’impatto del più grande attacco alla democrazia moderna, quell’11 settembre che tutti ricordiamo nei nostri cuori.

Ma è nel mondo dei cyber-busti che Berrugi varca la soglia della creatività creando un parallelo davvero interessante e in costante sviluppo, ricomporre cioè personaggi della mitologia e eroi antichi, attraverso figure e busti mai pesanti in una loro rinascita estetica, pronta a un viaggio nel loro iper-mondo, in un personalissimo approccio a una loro ‘seconda volta’, in una forgia parallela proveniente dai testi antichi e da antiche profezie. Nei Kouroi senza nome ad esempio, tre opere acefale nate nello stesso periodo, si denota tutta l’impronta storica e mitologica trasposta in un futuro parallelo, che la mente di Berrugi ha costituito con androidi e macchine robot fiere e in posizione statica e forte, una schiera di automi che come al servizio stesso del dio Efesto, costituiscono quel mondo cibernetico che la meccanica in contrasto col suo pregresso anagrafico, può ancora costituire; la chiave poi fortemente ironica che contraddistingue le opere dell’artista nella fattispecie di origine cybernetica, evoca come in dei piccoli Terminators una visione post-apocalittica, nel mentre sfondano quel muro di solennità e di parallelismo che spesso scricchiola tra passato e presente, o ancor meglio tra passato e futuro, come nel caso delle opere Giano e Ciclope. Vale la stessa considerazione per Il Gladiatore ad esempio, possente lottatore e icona immaginifica dell’epoca romana, metallico combattente che con rete, scudo e torace prepotente ma lucido e sfolgorante, affronta con ironia e convinzione il proprio Iterum. Un suo nuovo viaggio, come quello di Roberto Berrugi.